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TARSO

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TARSO oggi TARSUS

Tarso era la principale città portuale della Cilicia, posta presso il fiume Cidno, che ne attraversava in parte l'abitato, distante 20 km dalla costa e a 50 km a sud della catena del Tauro. Intorno al 2300 a.C. cominciò a diventare un importante centro marittimo di commercio.
Nel II millennio a. C. fu forse la capitale della regione, che nei testi hittiti appare come la regione di Kizzuwatna e la sua città principale come Tarša.
Tarso passò successivamente sotto il dominio degli Assiri, dei persiani, dei macedoni e dei seleucidi di Siria. Annessa a Roma nel 67 a.C. per opera di Pompeo, ricevette in seguito da Antonio lo status di città libera e l'immunità, essendo dotata di costituzione timocratica e richiedendo una tassa di 500 dracme per l'esercizio dei diritti civili. Fece parte della provincia romana di Siria fino a quando, sotto Adriano, la Cilicia fu costituita in provincia a sé stante con capitale Tarso. E in quest'epoca che la città ebbe il suo massimo splendore. La sua prosperità era dovuta sia alla fertilità della pianura circostante e all'industria della filatura del lino, nonché della tessitura della tela per le tende, sia al fatto di trovarsi al centro di una meravigliosa rete stradale, che la collegava con le capitali delle sei provincie vicine.
In piena città poi era stato creato un porto, dove, navigando il Cidno, vi approdavano navi di medio tonnellaggio.
Non possiamo passare sotto silenzio alcuni fatti salienti della storia di Tarso. Qui Alessandro Magno cadde gravemente malato per essersi imprudentemente bagnato nelle acque fredde del Cidno (333 a.C.), ma venne salvato. Ancora qui soggiornò Cicerone nel 50-52 a.C. come governatore della Cilicia, Qui Antonio ebbe il suo celebre incontro con Cleopatra, che vi giunse navigando il fiume in grande pompa [2]. Qui passò pure Cesare nel 47 a.C.
Al tempo del Nuovo Testamento Tarso era pure nota come un intenso centro culturale, ove fiorivano soprattutto le scuole di filosofia e di retorica, e tra i suoi cittadini famosi poteva annoverare i filosofi stoici Atenodoro e Nestore.
La città, però, dal punto di vista della cultura era ancora profondamente orientale nelle sue forme di vita, nei suoi culti e nei costumi, sebbene sul piano dell'organizzazione civile apparisse come una città ellenistica. Aveva infatti una popolazione estremamente cosmopolitica, in cui gli elementi propriamente anatolici convivevano con altri di origine greca, romana, orientale in genere e giudaica.
Tra questi ultimi spiccava la locale diaspora giudaica, assai numerosa, bene organizzata nella propria vita interna, ed ivi insediata da lungo tempo. Essa ebbe l'onore di dare i natali al suo figlio più illustre: Paolo di Tarso, detto anche Saulo, che ivi nacque tra il 5 e il 10 d.C.
Egli stesso andrà fiero di essere tarsense e lo dichiarerà pubblicamente all'autorità militare romana: «Io sono un giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza» (At 21, 39).
Paolo ci dà pure il proprio autoritratto di giudeo della diaspora: «Circonciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla Legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della Legge» (Fil,3,5-6).
Da queste affermazioni risulta che egli apparteneva ad una famiglia giudaica di origine palestinese, la quale usava ancora la lingua aramaica, a differenza dei giudei «ellenisti». San Girolamo conosceva una tradizione, che indicava Giscala in Galilea come la città degli avi di Paolo. Questo spiega la rigida ortodossia religiosa della famiglia, che si esprimeva in un grande zelo per la Legge e la tradizione dei padri.
Per proseguire la sua formazione Saulo fu mandato, ancora ragazzo, a Gerusalemme. È’ ancora lui, che ci parla di questi anni giovanili: «Io sono un giudeo, nato a Tarso in Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa nuova dottrina arrestando e gettando in prigione uomini e donne, come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti» (At 22, 3-5).
Non sappiamo se iniziò l'attività persecutoria contro la Chiesa mentre era ancora a Gerusalemme, ultimati ormai gli studi rabbinici, oppure al ritorno in Palestina, dopo un breve soggiorno in patria.
E’ certo comunque che Saulo ritornò a Tarso quando, venuto a Gerusalemme dopo la conversione per incontrare gli Apostoli, e Pietro in particolare, dovette fuggire a causa di una congiura tesagli da parte dei giudei ellenisti (At 9, 30).
Egli rimase nella sua città natale circa quattro anni, fino a quando, cioè, Barnaba venne a cercarlo per chiedere il suo aiuto nell'evangelizzazione di Antiochia di Siria (At 11, 25).
In seguito non si hanno più riferimenti espliciti di suoi ritorni a Tarso. Con ogni probabilità vi ripassò nel suo secondo viaggio missionario in compagnia di Sila, quando attraversò la Siria e la Cilicia (At 15, 41), e nel viaggio successivo, quando da Antiochia di Siria puntò verso le regioni della Galazia e della Frigia (At 18,23). La tradizione vuole che primo vescovo di Tarso sia stato Giasone, parente e discepolo di Paolo (cf Rm 16, 21).

ANTIOCHIA SULL’ORONTE oggi ANTAKYA

Situata nella fertile valle dell’Oronte a 30 km dal mare, Antiochia fu fondata da Seleuco I Nicatore (+282 a.C.) nel 300 a.C. come capitale del regno siriano dei Seleucidi. Essa assunse presto una grande importanza commerciale grazie al porto di Seleucia e al suo sito, posto all’incrocio delle vie Eufrate-Mediterraneo e Siria-Asia Minore divenendo la più grande città dell’impero romano dopo Roma e Alessandria con i suoi circa 300.000 abitanti oltre ai circa 200.000 schiavi.
Quando nel 64 a.C. Pompeo ridusse la Siria a provincia romana, Antiochia ne divenne capitale e sede della legione. Il governo romano ingrandì il porto di Seleucia e migliorò la rete stradale, di modo che la città accrebbe la sua importanza divenendo il primo centro commerciale e politico del Medio Oriente. La diaspora ebraica, da lungo tempo presente in città, in modo assai consistente, visse una larga esperienza missionaria presso i pagani.
Questi, attratti dal monoteismo e dall’etica yahwista, aderirono numerosi al giudaismo, sia come «proseliti» che come «timorati di Dio», ovvero come pagani inseriti all’interno del popolo eletto mediante la circoncisione e la piena osservanza della legge o come semplici simpatizzanti. İl clima culturale aperto e l’ordine pubblico che vi regnava grazie all’amministrazione romana, impedirono agli ebrei locali quel fanatismo chiuso e aggressivo che si riscontra altrove, ma altresì rigurgiti di antiebraismo.
Centro intensamente cosmopolita, Antiochia fu la città in cui fiorì un profondo contatto con la civiltà ellenistica e le culture e le religioni misteriche orientali. Queste vi avevano largamente divulgato le proprie dottrine di salvezza e di rigenerazione, unite alle promesse di vita ultraterrena. Come frutto di questa lunga simbiosi, i cittadini antiocheni del I sec. d.C. si distinguevano per uno spirito intellettualmente eclettico e per uno spiccato interesse verso la ricerca religiosa, condizione ideale, che spiega la simpatia con cui fu accolta la predicazione cristiana al suo primo giungere in Antiochia, grande centro extrapalestinese della primitiva diffusione del cristianesimo. La sua evangelizzazione avvenne per opera dei giudeo-cristiani espulsi da Gerusalemme dopo la morte di Stefano (ca 34 d.C., At 8, 1.4; 19-21).
Di questi, alcuni, originari di Cipro e di Cirene, si rivolsero decisamente ai pagani, mentre gli altri si limitarono alla cerchia dei giudei locali e il numero delle conversioni fu subito abbondante. La Chiesa di Antiochia fu così pluriforme nella sua espressione culturale fin dal suo sorgere e ciò ne spiega la storia successiva.
La notizia della sua nascita giunse tosto alla Chiesa-madre di Gerusalemme, che inviò Barnaba, fidato giudeo convertito di Cipro, a prendere visione della situazione. Giuntovi e constatato l’ambiente favorevole, volle proseguire l’opera apostolica avviata. Allo scopo andò a cercare in Cilicia l’aiuto di Paolo di Tarso, lo portò con sé ed entrambi, per un anno intero, «istruirono molta gente». Gli Atti aggiungono che «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani». (At. 11,22-26).
All’importanza numerica della comunità era congiunta l’eminente statura spirituale delle persone che la dirigevano. Atti 13,1, nell’enumerarle, le qualifica come « profeti e dottori». Erano Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirene, Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca e Paolo. La Comunità antiochena rimarrà per Paolo la Chiesa di appartenenza.
Infatti è da qui che egli parte la prima volta in missione con Barnaba (At 13, 2-3) e vi fa ritorno (At 14, 26-28); lo stesso avverrà per il suo secondo viaggio (At 15,36-40 ; 18, 18-22) e da qui inizierà ancora il terzo (At 18,23).
Dagli Atti sappiamo pure che al tempo della carestia, che colpì la Palestina verso il 46 d.C., la Chiesa di Antiochia mandò Barnaba e Paolo a portare aiuti economici ai fratelli di Gerusalemme (At 11,29-30).
È ad Antiochia che storicamente sorse e scoppiò il problema più grave e decisivo sulla vera identità del cristianesimo, relativo ai rapporti che intercorrevano fra la nuova fede e il giudaismo. Ci si chiedeva , in altre parole, se per essere cristiani si doveva continuare ad assumere la circoncisione con tutte le connesse pratiche religiose giudaiche. Nel caso affermativo il cristianesimo si sarebbe dovuto concepire solo come la forma più perfetta della religione giudaica e non come una realtà radicalmente nuova.
Ora, ad Antiochia, Paolo e Barnaba non avevano imposto la circoncisione ai pagani convertiti, mentre alcuni giudeo-cristiani venuti dalla Palestina ne sostenevano la necessità. Data la ferma posizione di Paolo e di Barnaba, nacque un profondo turbamento nella comunità e si accese una tale discussione, al punto di avvertire il bisogno «che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione» (At 15,2). İl problema originò il cosiddetto
« concilio apostolico di Gerusalemme» (ca. 49 d.C.), che nel dar ragione a Paolo e Barnaba, dichiarò i convertiti dal paganesimo esenti dalla legge mosaica (At 15, 5-29 ; Gal 2,1-10).
In connessione con questo problema siamo informati dell’andata di Pietro ad Antiochia. Ivi l’Apostolo si comportava secondo la libertà del Vangelo, frequentando liberamente i cristiani non circoncisi venuti dal paganesimo. Ma quando «giunsero alcuni dalla parte di Giacomo» (Gal 2,12), egli, intimorito da costoro, cambiò condotta e frequentava solo i fedeli convertiti dal giudaismo, evitando i contatti con l’altra frazione della comunità (Gal 2,12).
Questo atteggiamento poteva avere delle serie conseguenze sulla retta comprensione della fede cristiana. Infatti anche gli altri giudeo-cristiani «lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia» (Gal 2,13). Paolo, intuito il pericolo, redarguì energicamente il comportamento di Pietro in presenza di tutti «opponendosi a lui a viso aperto, perché evidentemente aveva torto» (Gal 2,11).
Non sappiamo altro della presenza di Pietro ad Antiochia né quanto vi rimase. La tradizione successiva vuole che egli sia stato il primo capo della Chiesa locale, comunque fu certamente il primo dei Dodici a visitare la città.
Sembra che anche l’Apostolo Giovanni sia passato ad Antiochia, ma il fatto non è confermato dal Nuovo Testamento.

SELEUCIA DI PIERIA oggi SAMANDAĞ

Le origini di Seleucia di Pieria rimontano al 300 a.C. quando Seleuco I, generale di Alessandro e capostipite dei re Seleucidi, la scelse a sua capitale. Non molto tempo dopo questo privilegio passò alla vicina An tiochia e Seleucia ne rimase il porto. Tolomeo III la occupò verso il 245 a.C. ma nel 219 la città tornò in possesso dei Seleucidi. Ci è noto che in questo tempo i cittadini maschi adulti della città erano in numero di 6000. Si suppone perciò che tutta la popolazione (donne, bambini, giova ni e schiavi) oscillasse intorno ai 30.000 abitanti.
Dopo esser stata conquistata da Tolomeo VI (sec.II a.C.), nel 108 a.C. Seleucia ricevette la libertà che Pompeo le confermò cinquant'anni più tardi (65 a.C.). Da un punto di vista strategico l'importanza di questa città fu notevole in quanto costituiva una base della flotta imperiale. Fu l'imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) ad apportare migliorie al porto. Tra di esse la più vistosa e tuttora visibile, è rappresen tata dal canale tagliato nella roccia e lungo 1100 mt. Presumibilmente si trattava d'una fenditura naturale poi allargata e dotata di chiuse.
Nella Scrittura il nome di Seleucia fa la sua comparsa nel I Libro dei Maccabei dove si ricorda che «il re Tolomeo si impadronì di tutte le città della costa sino a Seleucia marittima» (1 Mac 11, 8). Nel Nuovo Testamento questa città è legata al nome di Paolo e di Barnaba che da qui salparono alla volta di Cipro per il primo viaggio missionario che li avrebbe condotti in Panfìlia ed in Li caonia (At 13,4). Dopo il periodo apostolico l'esistenza d'una comunità cristiana a Seleucia pare fuori discussione.

PERGE

Perge, città della Panfilia, ebbe origine da coloni venuti dall'Argolide. Fu successivamente sotto il dominio dei Seleucidi di Siria (218-188 a.C.), poi sotto quello del regno di Pergamo (188-133 a.C.) e di Roma (dal 133 a.C).
Questa città, situata verso l'interno ad una ventina di km da Attaglia, possedeva pure un porto fluviale sul Cestro, circa 8 km più a valle. Tra i culti qui praticati, primeggiava quello di Artemide Pergaia «regina di Perge», un'antica divinità dell'Asia Minore, simile all’Artemide di Efeso. È a causa di questa divinità che Perge ottenne il diritto d'asilo come anche il rango di metropoli.
Paolo e Barnaba passarono a Perge verso il 47 d.C. provenendo da Pafo, ma pare vi abbiano fatto solamente tappa nel loro cammino verso l'interno. Qui, all'improvviso, Giovanni Marco si staccò da loro e fece ritorno a Gerusalemme; non sappiamo bene per quali motivi, ma forse perché impaurito dalle difficoltà che il viaggio cominciava ad offrire (At 13, 13). Infatti in seguito Paolo considererà questo distacco come una diserzione (At 15,38).
Fu nel ritorno da questo loro primo viaggio missionario, diretti ad Antiochia di Siria che i due apostoli evangelizzarono la città; essi non dovettero però fermarvisi a lungo (At 14, 24).

ANTIOCHIA DI PISIDIA oggi YALVAÇ

Fondata da Seleuco I Nicatore (+282 a.C.) con coloni di Magnesia. Antiochia di Pisidia si trovava ai confini della regione omonima. I romani la dichiararono città libera (188 a.C.). Nel 39 a.C. essa fu però concessa in dono da Antonio al re della Galazia, Aminta; dopo la sua morte ritornò in possesso di Roma (25 a.C.) che vi continuò il processo di romanizzazione espresso anche dalla denominazione di «Colonia Cesarea Antiochia».
Non a caso qui furono esposte le Res gestae divi Augusti,scoperte nel 1914 in testo latino, incise su dieci lastre di pietra, e conformi a quelle del Monumentum Ancyranum. Sotto Diocleziano Antiochia venne separata dalla Galazia ed assieme ad altri territori dell’Asia e della Panfilia fece parte della nuova provincia della Pisidia della quale divenne anche capitale.
Situata presso la grande strada commerciale che da Efeso, attraverso l’Asia Minore, portava in Oriente, essa godette presto di una notevole prosperità. Vi risiedeva pure un’importante comunità giudaica alla quale i Seleucidi avevano concesso diritti civili.
Paolo giunse ad Antiochia di Pisidia con Barnaba nel suo primo viaggio missionario verso il 47 d.C. provenendo da Perge (At 13, 14-52). İl sabato successivo al loro arrivo si recarono alla sinagoga per il culto.
Dopo la lettura della Scrittura, invitati a parlare, Paolo prese la parola e rivolse all’assemblea, composta di giudei e di pagani aderenti allo yahwismo, l’annuncio cristiano. Il discorso tenuto da Paolo in quella circostanza, e che gli Atti ci riferiscono, costituisce un esempio ed una sintesi della predicazione missionaria dell’Apostolo ai giudei. Percorrendo le tappe salienti della storia della salvezza dell’Antico Testamento fino a Giovanni Battista, egli giunge alla proclamazione di Gesù, Messia e Figlio di Dio, imperniata sulla sua resurrezione che presenta quale realizzazione delle profezie messianiche.
L’effetto della sua parola fu sorprendente e lusinghiero. Mentre, finito il servizio religioso, Paolo e Barnaba uscivano dalla sinagoga «li pregavano di esporre ancora queste cose nel prossimo sabato. Sciolta poi l’assemblea, molti giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio» (At 13, 42-43):
Ma anche qui l’atteggiamento chiuso e ostile di una parte della comunità giudaica mal sopportava l’adesione che i missionari cristiani riscuotevano e si ribellò loro apertamente. «İl sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la Parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: “ Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra “. All’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione» (At 13, 44-49).
L’apostolato di Paolo e Barnaba continuò per un certo tempo, forse un anno, tra vari pericoli e vessazioni, finchè gl’intrighi dei giudei li fecero espellere definitivamente. «İ giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dai piedi, andarono a Iconio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo» (At 13, 50-52).
I due apostoli ritornarono ancora ad Antiochia di Pisidia al rientro da questo loro primo viaggio missionario e vi si fermarono brevemente per rianimare la comunità e organizzarla gerarchicamente (At 14, 21-23).
Le difficoltà e le persecuzioni incontrate in questa città da parte dei giudei dovettero essere notevoli, se Paolo al termine della sua vita le ricorderà espressamente nella sua 2º Lettera a Timoteo ( 3,11).
Dopo le informazioni forniteci dagli Atti, la comunità cristiana di Antiochia rimane in penombra. Non va però dimenticato che « il cristianesimo si propagò con meravigliosa rapidità alla fine del I e nel II secolo nella parte della Frigia lungo la via da Antiochia di Pisidia ad Efeso e nelle vicinanze di Iconio»

DERBE oggi KERTI HÖYÜK

Derbe è una città del distretto della Licaonia, posta 40 km ca. a sud-est di Listra. In essa nel I sec. d.C. si parlava ancora il locale dialetto licaonio (At 14,11). Sappiamo poco della sua storia. Nel I sec. a.C. la città acquistò una certa rinomanza come sede di Antipatro, un amico di Cicerone (Ad familiares, XıIII, 73) che vi fondò un piccolo principato comprendente anche Listra e Laranda. Egli fu spodestato da Aminta, re di Galazia, che incorporò Derbe al proprio regno, già vassallo di Roma (25 a. C.). In seguito la città entrò a far parte della provincia romana di Galazia.
Essa ebbe una certa importanza commerciale per la sua posizione sulla grande strada che da Efeso portava ad Antiochia di Siria. Si è discusso assai sulla sua precisa ubicazione. Sembra che si trovi nel sito di Kerti Höyük, dove fu scoperta un’iscrizione dedicatoria dell’assemblea e del popolo di Derbe in onore all’imperatore Antonino Pio, datata l’anno 157 d.C.
Il Vangelo giunse a Derbe con Paolo e Barnaba durante il loro primo viaggio missionario, verso il 48 d.C. quando dovettero fuggire da Listra (At 14,19-20), e sembra che qui potessero predicare senza disturbo e con frutti abbondanti di conversioni (At 14,21). Infatti lasciarono la città non costretti dalle difficoltà incontrate altrove in queste regioni. In seguito la comunità cristiana del luogo fu ancora visitata da Paolo e da Sila nel successivo viaggio missionario verso il 50 d.C. Sappiamo infine dagli Atti, che l’Apostolo ebbe tra i discepoli che l’accompagnarono nel ritorno dal suo terzo viaggio missionario, un certo Caio, originario o forse abitante di Derbe (At 20.4).

ICONIO oggi KONYA

La città di Iconio era posta presso la grande strada che collegava la Siria con Efeso e Roma. Ciò la rese un vasto centro commerciale, mentre la fertile campagna circostante la faceva pure un importante centro agricolo, rinomato per il suo grano e la frutta [1]. Da ciò il vecchio proverbio: «Vedi pure tutto il mondo, ma vedi Iconio».
La città conobbe la sua più grande prosperità soprattutto nell'epoca tardoromana e bizantina. Sebbene fosse la capitale della Licaonia, i suoi abitanti si consideravano etnicamente frigi e in effetti usavano il dialetto frigio. È l'opinione che troviamo espressa dagli Atti (14, 6).
Nel III secolo a.C. Iconio fu sotto il dominio dei Seleucidi di Siria, che le fecero subire un largo processo di ellenizzazione.
Dopo alterne vicende la città nel 25 a.C, fu definitivamente incorporata alla provincia romana della Galazia. Sotto Claudio assunse il nome di Claudiconium e tra il 130 e il 138 divenne colonia romana prendendo dall'imperatore Adriano il nome di Colonia Helia Hadriana Augusta Iconiensium.
A Iconio dimorava una numerosa e combattiva diaspora giudaica. Una parte di essa reagì in modo violento alla predicazione di Paolo e di Barnaba, quando questi giunsero a Iconio verso il 47 d.C., e, non contenti di essere riusciti con le loro mene e i loro progetti di lapidazione a farli fuggire, li inseguirono fino a Listra, distante oltre 160 km dalla loro città.
Ma ascoltiamo dagli Atti il lavoro missionario qui svolto dai due Apostoli: «Anche ad Iconio essi entrarono nella sinagoga dei giudei e vi parlarono in modo tale che un gran numero di giudei e di greci divennero credenti. Ma i giudei rimasti increduli eccitarono e inasprirono gli animi dei pagani contro i fratelli.
Rimasero tuttavia colà per un certo tempo e parlavano fiduciosi nel Signore, che rendeva testimonianza alla predicazione della sua grazia e concedeva che per mano loro si operassero segni e prodigi. E la popolazione della città si divise, schierandosi gli uni dalla parte dei giudei, gli altri dalla parte degli apostoli. Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei giudei con i loro capi per maltrattarli e lapidarli, essi se ne accorsero e fuggirono nelle città della Licaonia, Listra e Derbe e nei dintorni, e là continuavano a predicare il Vangelo» (14, 1-7).
Sappiamo che Paolo ritornò a Iconio poco dopo il rientro dal suo primo viaggio apostolico (At 14, 21) e che vi ripassò verso il 50 d.C., all'inizio del secondo (At 16, 4).
Dopo le informazioni forniteci dagli Atti degli Apostoli sulla diffusione del cristianesimo ad Iconio, possediamo altre notizie sulla base degli atti apocrifi di Paolo e di Tecla. Il presbitero che li compose tra il 185 ed il 195 e che per questa ragione fu deposto, colloca la nascita di Tecla ad Iconio. Qui essa venne convertita da Paolo e messa a morte per la fede cristiana da lei apertamente professata. Salvata miracolosamente alla morte, fuggì da Iconio per poi ritornarvi come annunciatrice della parola di Dio. È difficile sceverare dal favoloso la verità che gli Atti di Paolo e di Tecla posseggono. Come nucleo storico rimane verosimilmente la consistenza reale della figura di Tecla, la sua discepolanza paolina ed una sua attività missionaria.

LISTRA Oggi HATUNSARAY

Situata in una zona fertile e ben irrigata, la città fu nell'epoca ellenistica e romana un centro prevalentemente agricolo, prima soggetto ai Seleucidi di Siria (280-189 a.C.), in seguito agli Attalidi di Pergamo (189-133 a.C.) e poi ai Romani. Augusto ne fece una colonia militare di difesa contro il brigantaggio della zona montagnosa del Sud, fatto che favorì la sua parziale romanizzazione (6 a.C.).
Il cristianesimo giunse a Listra con Paolo e Barnaba. Essi vi arrivarono verso il 47 d.C., quando dovettero fuggire da Iconio. Gli Atti ci descrivono in modo vivace il primo incontro apostolico con la popolazione cittadina: «C'era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di essere risanato, disse a gran voce: "Alzati diritto in piedi!". Egli fece un balzo e si mise a camminare. La gente, allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: "Gli dei sono scesi tra di noi in figura umana!". E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era lui il più eloquente. Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all'ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: "Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori". E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall'offrire loro un sacrificio» (At14, 8-18). Ma i due missionari, specie Paolo, dopo questo paradossale Osanna dovettero tosto sperimentare il crucifige. Infatti «giunsero da Antiochia (di Pisidìa) e da Iconio alcuni giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città. Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe» (At 14, 19-20).
Quando alcuni anni più tardi l'Apostolo, nel ricordare quanto dovette soffrire per il Vangelo, dirà: «una volta sono stato lapidato» (2 Cor 11, 25), con ogni probabilità il riferimento riguarda questa circostanza. Egli ritornerà ancora, ormai prossimo alla morte, sulle «persecuzioni» e «sofferenze» incontrate a Listra e nelle città vicine (2 Tm 3, 11). Dovette quindi trattarsi di un'esperienza, che lo sconvolse profondamente anche se non lo piegò. Infatti dopo l'evangelizzazione a Derbe, che dovette durare breve tempo, i due Apostoli «ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia (di Pisidia) rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede, poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14, 21-22).
Paolo ritornò a Listra nel suo secondo viaggio missionario verso il 50 d.C. e qui prese con sé il listrese «Timoteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco (pagano); egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio... Paolo volle che partisse con lui... e lo fece circoncidere per riguardo ai giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco» (At16, 1-3).

ATTALIA oggi ANTALYA

Città portuale della Panfilia, Attalia fu fondata da Attalo II, re di Pergamo (159-138 a.C.), da cui prese il nome perché divenisse il principale sbocco al mare sulla costa occidentale della regione.
Nel 133 a.c. Attalo III la lasciò in eredità ai romani. Da costoro la città fu poi privata del suo territorio (79 a.C.) in punizione dell’aiuto che aveva offerto al re pirata Zenicete. Il territorio fu probabilmente adibito da Augusto per lo stanziamento dei veterani. Nel 43 d.C. Attalia assurse a capitale della provincia romana della Panfilia-Licia.
Paolo vi passò al termine – e fors’anche all’inizio (cf At 13,13) – del suo primo viaggio missionario verso il 48 d.C., giungendovi da Perge e da qui s’imbarcò per Antiochia di Siria (At 14, 25-26).

TROADE - ALEXANDRIA - TROAS

Troade, città della Misia, a circa 40 km a sud dell'antica Troia, fu fondata da Antigono (381-301), uno dei successori di Ales sandro Magno. Verso il 300 a.C. Lisimaco, re di Tracia, l'ingrandì e l'abbellì. Nel 133 a.C. passò sotto il dominio romano.
Essa rimase sempre una città libera fino a quando Augusto non ne fece una colonia romana. Il suo porto era uno scalo per le navi che facevano rotta tra l'Asia e la Macedonia (At 20, 5).
Paolo passò da Troade almeno tre volte senza mai fermarvisi molto. La prima volta vi giunse durante il suo secondo viaggio missionario verso il 50 d.C., data l'impossibilità di proseguire verso la Bitinia come avrebbe voluto, e qui ebbe la visione notturna di un macedone, che lo supplicava: «Passa in Macedonia e aiutaci!» (At 16, 7-9).
A Troade Paolo, Sila e Timoteo incontrarono Luca, che si unì a loro nel viaggio. Questi annota negli Atti: «Dopo che (Paolo)
ebbe avuta questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la Parola del Signore» (At 16, 10). E salparono di qui facendo vela verso Samotracia (At 16, 11). L'Apostolo ritornò una seconda volta a Troade durante il suo terzo viaggio missionario, quando lasciò Efeso verso il 57 d.C. Vi venne «per annunziare il Vangelo di Cristo», poiché qui «la porta gli era aperta nel Signore» (2 Cor 2, 13). Ma anche questa volta si trattenne pochissimo, perché, non avendovi trovato Tito, partì subito per la Macedonia (2 Cor 2, 13). Stando alla 2° Lettera ai Corinzi 2, 13, a questa data ci doveva già essere nella città una comunità di credenti, giacché l'Apostolo dice che nel partire si congedò da loro.
Egli vi fa però ritorno dopo pochi mesi, nella primavera del 58 d.C., di ritorno dalla Macedonia e in viaggio verso Gerusalemme. Questa volta vi si ferma una settimana ed è in compagnia di Sòpatro di Berea, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Caio di Derbe, Timoteo e gli asiatici Tichico e Tròfìmo, che fa partire prima dalla Macedonia con la consegna di aspettarlo a Troade, dove egli giunge assieme a Luca subito dopo la Pasqua.
In questa circostanza abbiamo una vivida testimonianza su un momento di liturgia domestica, celebrata da Paolo la domenica sera con la piccola Chiesa locale, la vigilia della sua partenza: «II primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: "Non vi turbate è ancora in vita!". Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati» (At 20, 7-12).
Dalla 2° Lettera a Timoteo 4, 13 siamo informati che l'Apostolo lascia a Troade in una delle sue ultime visite in casa di un certo Carpo il mantello con i libri e le preziose pergamene e prega Timoteo che gli porti il tutto quando verrà presso di lui.
Verso il 116 soggiornò a Troade anche Ignazio d'Antiochia, in viaggio verso Roma per subire il martirio. Fu in questa città che egli scrisse le Lettere alle comunità di Filadelfìa (Fil., 11), di Smirne (Smir., 12, 1) e a Policarpo (Pol., 8, 1). Dopo questa notizia la comunità cristiana rimane nel buio per circa due secoli.

EFESO - EPHESUS

Efeso era la città d’Oriente più popolata dopo Alessandria e Antiochia sull’Oronte e possedeva un porto e un emporio di grandissima importanza.
Residenza dei proconsoli, era la capitale della provincia dell’Asia e giocava un ruolo commerciale, politico e religioso di prim’ordine. Essa diede i natali al filosofo Eraclito.
İl culto di Artemide Polimaste (= dalle molte mammelle), dea efesina della fecondità e della vita, con il grande tempio ad essa dedicato (Artemision), una delle sette meraviglie del mondo antico, vi attirava folle numerose e costituiva un lucrosissimo commercio per il fiorente artigianato locale degli argentieri.
La presenza degli Ebrei era pure assai cospicua. Essi erano così numerosi da formare una delle tribù della città.
Come vedremo, At 19 dipinge con toni vivaci i fermenti religiosi presenti ad Efeso al momento della penetrazione del Cristianesimo.
Paolo giunge ad Efeso la prima volta in compagnia di Priscilla e Aquila alla fine del suo secondo viaggio apostolico, mentre è diretto in Siria, e vi si ferma pochissimo (estate del 52 d.C.: At 18, 18-21). Vi lascia però i due coniugi.
Poco dopo la sua partenza «arriva ad Efeso un giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni.
Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggior accuratezza la via di Dio » (At 18, 24-26). Apollo, ricevuto il battesimo, proseguì pieno di zelo apostolico, verso l’Acaia e si recò a Corinto (At 18,27 – 19,1). Sono questi i segni della prima occasionale presenza cristiana nella capitale dell’Asia.
La predicazione del Vangelo a Efeso si può dire che prenda l’avvio in modo consistente con il soggiorno dell’Apostolo, che si protrae per circa tre anni (ca 54-57 d.C.).
Al suo arrivo egli trovò un gruppo di discepoli di Giovanni Battista che convertì senza difficoltà al vangelo (At 19,1-7). Secondo la sua prassi usuale, Paolo inizia con l’annuncio ai giudei, che si prolunga per tre mesi. Quando questi cominciano a osteggiarlo, mettendo in pericolo con il discredito la nascente comunità cristiana egli «si staccò da loro separando i discepoli e continuò a discutere ogni giorno nella scuola di un certo Tiranno» (At 19,9). Poteva trattarsi della scuola di un retore, nel caso di Tiranno, oppure dei locali d’incontro di una qualche associazione artigiana. Un’attendibile variante del testo ci offre una preziosa informazione, precisando che Paolo vi insegnava dalle ore 11 alle 16, cioè nel periodo più caldo della giornata, quando, a motivo del riposo pomeridiano, i locali non erano impegnati.
La fatica apostolica, compiuta in queste condizioni, fu dura, ma non vinse la sua tenacia che gli permise di svolgere un’ampia opera di evangelizzazione, accompagnata da una dedizione e una condotta di vita eroicamente esemplari.
La primavera del 58 d.C. nel colloquio con gli anziani della comunità efesina a Mileto, detto a buon diritto il suo testamento spirituale, Paolo traccia con commozione il quadro autobiografico della sua intensa attività apostolica in questo periodo: «Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove, che mi hanno procurato le insidie dei giudei. Sapete come non mi sono mani sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando giudei e greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù… non mi sono sottratto al compito di annunziarvi la volontà di Dio… per tre anni, notte e giorno io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi… Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno.
Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli…» (At, 20,18-21.27. 31.33-35).
Mentre si trova ad Efeso, scrivendo alla comunità di Corinto, Paolo dichiara con entusiasmo il vasto campo di lavoro missionario, che si offre al suo zelo: « Mi fermerò a Efeso fino a Pentecoste, perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti» (1Cor 16,9). Infatti Efeso era il punto di confluenza e la porta, che immetteva nel popoloso e variegato retroterra della provincia asiatica.
Gli Atti pure confermano, sintetizzando in modo nervoso, l’esito lusinghiero della fatica di Paolo: «Questo (lavoro) durò due anni col risultato che tutti gli abitanti della provincia d’Asia giudei e greci, poterono ascoltare la parola del Signore» (At 19,10). In realtà sappiamo che Colossi fu evangelizzata da un suo concittadino Epafra (Col 1,7), il quale estese il proprio apostolato a Laodicea e a Gerapoli (Col 4,13), e che Paolo era coadiuvato in quel tempo pure da Timoteo ed Erasto (At 19,22), da Gaio, da Aristarco (At,19,29), da Tito e da altri ancora (2 Cor 12,18).
İl prestigio dell’Apostolo crebbe enormemente e catalizzò parte della città, che pure era assorbita e distratta dagli interessi più disparati.
Ciò, se favorì la causa del vangelo, fu motivo di gravi sofferenze e pericoli per lui. Due passi degli Atti confermano quanto stiamo dicendo.
Sulla risonanza positiva dell’azione paolina leggiamo: «Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli, che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano.
Alcuni esorcisti ambulanti giudei provarono a invocare anch’essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi, dicendo:” Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica”. Facevano questo sette figli di un certo Sceva, un sommo sacerdote giudeo. Ma lo spirito cattivo rispose loro: “Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?”.
E l’uomo che aveva lo spirito cattivo, slanciatosi su di loro, li afferrò e li trattò con tale violenza, che essi fuggirono da quella casa nudi e coperti di ferite.
Il fatto fu risaputo da tutti i giudei e dai greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore e si magnificava il nome del Signore Gesù. Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti.
Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d’argento. Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava» (At 19, 11-20).
Ma tutto ciò non poteva non compromettere gli interessi commerciali del fiorente artigianato, che viveva all’ombra del veneratissimo santuario di Artemide. E di fatto, poco dopo, scoppiò la sommossa degli argentieri contro Paolo, come ci viene descritta con colori vivaci in At 19, 23-41 :«Verso quel tempo scoppiò un gran tumulto riguardo alla nuova dottrina. Un tale argentiere chiamato Demetrio, che fabbricava tempietti di Artemide in argento e procurava in tal modo non poco guadagno agli artigiani, li radunò assieme agli altri che si occupavano di cose del genere e disse: “Cittadini, voi sapete che da questa industria proviene il nostro benessere; ora potete osservare e sentire come questo Paolo ha convinto e sviato una massa di gente, non solo di Efeso, ma si può dire di tutta l’Asia, affermando che non sono dèi quelli fabbricati da mano d’uomo. Non soltanto c’è il pericolo che la nostra categoria cada in discredito, ma anche che il santuario della grande dea Artemide non venga stimato più nulla e venga distrutta la grandezza di colei che l’Asia e il mondo intero adorano”.
All’udire ciò s’infiammarono d’ira e si misero a gridare:”Grande è l’Artemide degli Efesini!”. Tutta la città fu in subbuglio e tutti si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé Gaio e Aristarco macedoni, compagni di viaggio di Paolo. Paolo voleva presentarsi alla folla, ma i discepoli non glielo permisero.
Anche alcuni dei capi della provincia, che erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro. Intanto chi gridava una cosa, chi un’altra; l’assemblea era confusa e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi.
Alcuni della folla fecero intervenire un certo Alessandro che i giudei avevano spinto avanti ed egli, fatto cenno con la mano, voleva tenere un discorso di difesa davanti al popolo. Appena s’accorsero che era giudeo, si misero tutti a gridare in coro per quasi due ore: “Grande è l’Artemide degli Efesini!”. Alla fine il cancelliere riuscì a calmare la folla e disse: “Cittadini di Efeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Efeso è custode del tempio della grande Artemide e della sua statua caduta dal cielo? Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti. Voi avete condotto qui questi uomini che non hanno profanato il tempio né hanno bestemmiato la nostra dea. Perciò se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, ci sono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l’un l’altro.
Se poi desiderate qualche altra cosa, si deciderà nell’assemblea ordinaria. C’è il rischio di essere accusati di sedizione per l’accaduto di oggi, non essendoci alcun motivo per cui possiamo giustificare questo assembramento”. E con queste parole sciolse l’assemblea».
Paolo aveva già deciso in precedenza di lasciare Efeso (At 19, 21-22), ma questo fatto così grave l’indusse ad affrettare la partenza e si diresse tosto verso la Macedonia (At 20,1).
Da Efeso Paolo scrisse pure alcune lettere: quasi certamente i vari biglietti ai Filippesi, di cui parla Policarpo, che sarebbero poi confluiti nell’attuale Lettera ai Filippesi; verso la Pasqua del 57 d.C. invia ai Corinzi l’attuale 1°Lettera ai Corinzi ( 1Cor 16,8); probabilmente è pure di quest’epoca la Lettera ai Galati.
Abbiamo detto finora della generosa messe missionaria dell’Apostolo, ma non possiamo passare sotto silenzio le abbondanti prove e sofferenze di questo periodo a cui egli stesso allude in modo oscuro nelle sue lettere.
Nella 1° Lettera ai Corinzi 15,32 dice di «aver combattuto a Efeso contro le belve ».
Nella 2°Lettera ai Corinzi 1, 8-9 parla di una «tribolazione, che ci è capitata in Asia e ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte… Da quella morte però egli ci ha liberato…».
İn Romani 16, 3.7 ritorna sull’argomento:«Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa…Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia…». L’Apostolo allude forse ad un’eventuale prigionia subita ad Efeso? Sono molti ad affermarlo e con buone ragioni.
Comunque egli si ricorda certamente dei pericoli mortali che ivi lo hanno minacciato, sia - come il solito – da parte dei giudei, sia da parte dei pagani (sommossa degli argentieri).
Secondo la più antica tradizione, Efeso fu pure l’ultimo soggiorno dell’Apostolo Giovanni.
Una cosa pare certa: il carattere culturalmente polivalente del quarto Vangelo si adatta bene al contesto culturale efesino, come pure la situazione ecclesiale rispecchiata nelle lettere giovannee, che rivelano un’incipiente polemica antignostica, tipica dell’ambiente dell’Asia Minore. La stessa cosa pare si debba affermare per l’Apocalisse.

MILETO oggi BALAT

Mileto fu un'importante città portuale. Inizialmente colonizza ta dai Cretesi all'epoca dell'espansione minoica, passò poi sotto i Greci di Micene, che ne fecero un fortificato porto franco (sec. xıv a.C). Pare che Mileto corrisponda alla Millawanda dei testi hittiti.
Nel VII sec. a.C. essa figura come il centro delle imprese navali ioniche, le cui navi trasportavano i coloni alle spiagge del Mar Nero e in Egitto. La prosperità della città cessò all'improvviso con la rivolta ionica contro i persiani (494 a.C.), che la distrussero. Ricostruita e conquistata poi da Alessandro Magno nel 334 a.C., essa conobbe un notevole benessere, dovuto al suo sviluppo commerciale, durante l'epoca ellenistica e romana.
All'espansione commerciale dell'antica Mileto andò unita l'importanza culturale. Sono noti tra i suoi cittadini i filosofi Talete, Anassimandro, Anassimene[1] e Leucippo, atomista (480/475 a.C.). Qui si era pure insediata un'importante comunità giudaica, come risulta da un'iscrizione, ritrovata nel teatro, che assegnava un reparto di posti ai Giudei e ai «timorati del Signore». Quando Paolo vi passò, Mileto era un porto di transito per la rotta navale Lesbo-Chio-Samos verso il sud. Egli vi giunse al rientro dal suo terzo viaggio missionario nella primavera del 58 d.C. Dato che la nave su cui viaggiava si sarebbe fermata solo pochi giorni, fece subito venire da Efeso «gli anziani della Chiesa» per salutarli e per rivolgere loro i suoi ultimi pressanti incitamenti pastorali. Luca, che era presente all'incontro come compagno di viaggio dell'Apostolo, ce ne offre negli Atti (20, 17-38) una vivida e partecipata rievocazione. Il breve indirizzo di Paolo è tutto pervaso di vibrante commozione, giacché egli prevede le sofferenze che personalmente lo attendono a Gerusalemme (At 20, 22-24), come pure intuisce le serie difficoltà e i pericoli, che in futuro questi pastori dovranno affrontare nel loro ministero (At 20, 28-31). Inoltre egli è al corrente che durante la sua assenza i soliti avversari della provincia d'Asia hanno cercato di mettere i neoconvertiti contro di lui. Ed ora deve - sebbene a malincuore - fare l'apologia del proprio operato, regalandoci così un prezioso schizzo del suo animo e metodo apostolico (At 20, 18-21). A buon diritto questo discorso di Paolo, l'unico che possediamo rivolto solo a cristiani, è stato definito il suo testamento spirituale.
Terminato di parlare, «si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave» (At 20, 36-38). Stando alla notizia della 2° Lettera a Timoteo 4, 20, Paolo sarebbe ritornato in seguito a Mileto e vi avrebbe lasciato Trofimo, un suo discepolo di Efeso (At 21, 29), perché al momento questi non poteva proseguire il viaggio con l'Apostolo a causa di una malattia. Dopo la notizia offertaci dalla 2° Lettera a Timoteo 4, 20, sulla Chiesa di Mileto cala un sipario di silenzio fino al IV secolo.

MIRA - MYRA oggi DEMRE

Mira fu un'importante città della Licia, situata presso il fiume Andraco a circa 4 km dalla costa mediterranea, ove sorge l'attuale Demre. Sotto l'impero romano fu fatta capitale della provincia omonima.
L'importanza del suo porto ci è attestata da Atti 27, 2-6, ove si narra l'inizio del viaggio di Paolo prigioniero da Cesarea a Roma. Egli fu imbarcato a Cesarea su una nave appartenente ad una compagnia del porto di Adramitto, città portuale della Misia, che faceva vela «verso i porti della provincia d'Asia» (A-27, 2).
Giunti nel porto di Mira, i passeggeri diretti a Roma furono fatti trasbordare su una nave mercantile alessandrina, che trasportava grano ed era in partenza per l'Italia.
Dal Nuovo Testamento non risulta che qui fosse sorta una comunità cristiana. Più tardi gli apocrifi Atti di Paolo e Tecla parlano in modo leggendario della predicazione di Paolo a Mira.

ANCIRA - ANCYRA oggi ANKARA

Il nome Galazia rievoca una ricca e lunga storia di buona parte dell’Asia Minore. Il termine deriva dall’appellativo della tribù celtiche della Gallia, dette Galati, che immigrarono nell’attuale Turchia nel III sec. a.C., invitati da Nicomede I, re di Bitinia, come aiuto nella guerra contro suo fratello (278 a.C.).
Galazia indicò appunto il territorio occupato dai nuovi venuti, ai quali fu assegnata la regione centrale dell’altopiano anatolico, posta a Sud dei regni di Bitinia e del Ponto e compresa fra i fiumi Sangrius e Halys.
Per l’aiuto prestato ai Romani nella guerra contro Mitridate (74-64 a.C) ottennero dai vincitori il titolo di regno, che ebbe vita breve. Infatti dopo la morte di Aminta, ultimo loro re (25 a.C.), tutto il territorio del regno dei Galati divenne la provincia romana di Galazia con capitale Ancira, governata da un propretore.
Anticamente il termine Galazia ebbe duplice accezione (regione galatica – provincia romana di Galazia). Le precisazioni sull’uso etnografico e quello amministrativo del termine sono importanti per l’identificazione dei destinatari della Lettera ai Galati: Paolo si rivolge ai cristiani della provincia romana di Galazia, comprendente varie popolazioni al Sud della Galazia propriamente detta, che l’Apostolo evangelizzò nel suo primo viaggio missionario (Antiochia di Pisidia, Iconio, Derbe, Listra) oppure si indirizza soltanto ai Galati in senso stretto e quindi agli abitanti della regione della Galazia, posta a Nord delle zone suddette?
Vari elementi, sia degli Atti, che di Paolo, fanno pensare che egli si rivolga ai Galati della regione galatica. Secondo Atti 16,6 Paolo visitò nel suo secondo viaggio missionario la regione di Galazia e secondo Atti 18,23 vi ritornò nel viaggio successivo «confermando nella fede tuıti i discepoli».
Quanto ai dati della Lettera ai Galati, se l’indirizzo «alle Chiese della Galazia» (1,2) è in sé generico, perché può indicare tanto la provincia romana di Galazia che la regione propria dei Galati, l’apostrofe di 3,1: « stolti Galati!» può essere intesa solo in senso etnografico. Infatti non è pensabile che Paolo abbia usato questo appellativo per indirizzarsi agli abitanti della Licaonia, della Pisidia oppure della Frigia.
Da Galati 4,13-15 sappiamo poi che l’apostolo si fermò in Galazia a causa di una malattia e sfruttò questo soggiorno forzato per predicarvi il Vangelo. Qui ebbe un’ottima accoglienza: «mi avete accolto come un angelo di Dio, come Gesù Cristo… Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli» (vv. 14 . 15): Questa non fu certo la situazione che incontrò nel suo primo viaggio missionario, quando evangelizzò le zone del Sud della provincia romana di Galazia. Paolo deve quindi riferirsi ad un soggiorno effettuato nella Galazia propriamente detta durante il suo secondo viaggio missionario e menzionato in Atti 16, 6. Del resto, come abbiamo già ricordato, egli vi ritornò poi nel viaggio successivo per confermare nella fede i neoconvertiti (At. 18,23).
Per questi e altri motivi, che tralasciamo, l’esegesi odierna si orienta sempre di più verso la così detta «ipotesi della Galazia del Nord», in base alla quale la Lettera ai Galati è indirizzata ai fedeli della Galazia propriamente detta. Essa fu composta probabilmente nel terzo viaggio missionario, forse durante il soggiorno efesino nel 55 o 56 d.C., e fu originata dalla problematica circa il rapporto Giudaismo-Cristinesimo, già sorta ad Antiochia sull’Oronte e risolta in modo perentorio e definitivo nel concilio apostolico di Gerusalemme (circa il 49 d.C). Essa era stata risollevata in modo acuto nelle Chiese della Galazia da alcuni non meglio identificati predicatori giudeo-cristiani venuti dopo la partenza di Paolo. Il pericolo era quanto mai serio, perché i fedeli erano sul punto di cedere alle pressioni di questi giudaizzanti e sottoporsi alla circoncisione ed alle altre osservanze legali del Giudaismo, confessando così l’insufficienza dell’opera salvifica di Cristo.
La lettera, con cui Paolo intende correre ai ripari per conservare nella genuina fede i Galati, è la più polemica e rovente del suo epistolario e costituisce il commento teologico più ampio e motivato della posizione assunta nel precedente concilio apostolico. In un dettato concitato e tagliente l’Apostolo si appella di volta in volta agli argomenti tratti dalla propria attività apostolica in sintonia con la predicazione ecclesiale (1,11 – 2,21), dall’esperienza cristiana degli stessi Galati, che sperimentarono fortemente l’azione dello Spirito (3,1-5), e dalla Scrittura (3,6- 4,31). Nella parte parenetica conclude poi con una stupenda presentazione del vero senso della libertà cristiana (5,1–6,10): «questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (5,13). Essa deve aiutare a « camminare secondo lo Spirito» (5,16), a «lasciarsi guidare dallo Spirito» (5,18), a « crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (5,24) per «essere nuova creatura» (6,15) e costituire così il vero «Israele di Dio» (6,16).
Circa la diffusione del cristianesimo ad Ancira – a parte le indicazioni generiche fornite dalla Lettera ai Galati e la menzione fatta nella 1ºLettera di Pietro, ai cristiani dispersi nella regione della Galazia (cf. 1 Pt. 1) -, non si posseggono attestazioni dirette. Eppure l’importanza di Ancira ed il suo carattere di nodo stradale, lascia ben pporre una presenza cristiana già in età apostolica.

COLOSSI - vicino a HONAZ

Colossi era una città della Frigia, situata sulla sponda sinistra del Lico, a 200 km a Est di Efeso a circa 25 km da Laodicea, lungo la strada che da Efeso, attraverso l’Asia Minore, portava in Oriente.
Fu un attivo centro commerciale, superato poi da Laodicea. Sia sotto i Seleucidi di Siria, che sotto i re di Pergamo ed i Romani, godette sempre dello stato giuridico di città libera. İl suo sito fu scoperto da W.J.Hamilton nel 1835.
La presenza cristiana iniziò a Colossi grazie alla predicazione del colossese – e discepolo di Paolo – Epafra durante il soggiorno efesino dell’Apostolo (54-57 d.C.) (Col 1,7; 4, 12-13). Sappiamo dalla Lettera a Filemone, che i fedeli si radunavano nella casa dello stesso destinatario (Fm 2), facoltoso cristiano della città, lui pure convertito da Paolo (Fm 19).
Questa Chiesa ci è nota soprattutto a causa della lettera, indirizzatale da Paolo durante la prigionia romana verso il 61-62 d.C. (Col 1,24, 4,3. 10.18), dopo essere stato informato da Epafra sulla situazione della comunità (Col 1,8). Dato che il suddetto discepolo volle restare presso l’Apostolo per prestargli i propri servizi (Fm 23), la lettera fu portata da Tichico (Col 4,7), il quale venne a Colossi con Onesimo, lo schiavo fuggitivo di Filemone.
Egli, come si ricorda, ritornava al proprio padrone, con un biglietto di Paolo, biglietto che a buon diritto fu detto la carta magna della libertà cristiana.
Le notizie giunte a Paolo erano alquanto preoccupanti. Infatti tra i cristiani della valle del Lico si andavano diffondendo, non si sa bene da quali predicatori, erronee dottrine religiose, che rischiavano di far presa sull’animo dei fedeli, deviandoli dalla vera fede.
L’Apostolo allora impugna la penna e viene in loro difesa. Egli invita la comunità a non lasciarsi ingannare (2,4), a non cadere nel laccio di «tradizioni umane», che caratterizza come «filosofia» e «vuoti raggiri», basati sugli «elementi del mondo e non secondo Cristo» (2,8).
Nelle affermazioni sparse della lettera possiamo cogliere le dottrine pericolose che potevano trarre in inganno i fedeli: esse consistevano essenzialmente in un malinteso culto degli angeli (2,18) e in inutili osservanze circa cibi, bevande e giorni sacri ( 2,16. 21), che instauravano una certa ascesi corporale (2,21.23).
Questi insegnamenti, basandosi su speculazioni religiose (2,8) puramente umane (2,22), pretendevano di andare al di là della predicazione evangelica e procurare una migliore conoscenza del mistero cristiano.
È difficile stabilire con sicurezza la loro precisa matrice culturale. Crediamo comunque che dovesse trattarsi probabilmente di una specie di fluida e incipiente forma di sincretismo giudaico a tratti parzialmente gnosticizzanti. İl fatto certo è che queste dottrine offuscavano la vera identità di Cristo, soprattutto il primato universale e definitivo, che Gli compete per il suo ruolo di creatore, per il suo sacrificio redentore e per il suo trionfo sulle potenze del cosmo.
Paolo presenta perciò nella lettera una cristologia accompagnata da una soteriologia cosmologica. Cristo non è soltanto il redentore degli uomini, ma è il creatore del mondo (2,16-17) e il primogenito della nuova creazione (2,15).
Potenze «Da Cristo dell’umanità Egli diventa Cristo dell’universo, capo del Corpo della Chiesa (1,18), ma anche capo delle (2,10)».

PATARA

Questa città, per un certo tempo principale porto della Licia, fu altresì sede del governatore romano di questa regione. Nel 42 a. C. venne visitata da Bruto granai del tempio di Adriano, il teatro (II sec. d.C.), i bagni romani e quelli cosiddetti di Vespasiano, lasciano ancora intravedere il benessere di cui Patara godette a causa del suo intenso traffico commerciale.
La città possedeva un noto ed assai frequentato tempio di Apol lo e ciò conferma l'impressione che la Licia fosse la patria della mantica.
Intorno al 140 d.C. l’”antico e immortale” Apollo di Patara – dopo un periodo di silenzio,- riprese a parlare. Segno del culto prestato all’Apollo oracolare locale era la sua effige sulle monete della città (I sec. d.C.). La città mantenne una certa importanza anche in epoca bizantina. Venne abbandonata soltanto in occasione delle guerre che opposero i bizantini ai turchi. In rapporto alle origini cristiane, il nome di Patara ricorre negli Atti degli Apostoli.
Paolo vi giunse da Mileto, dopo essersi congedato dagli anziani della comunità di Efeso (cf At 20, 17-38). Non è detto quanto a lungo egli soggiornò a Patara. Da qui egli comunque s'imbarcò alla volta della Fenicia (cf 21, 2).
Per la storia del cristianesimo in questa città è pure di rilievo ricordare che vi nacque Nicola, vescovo di Mira (seconda metà del III sec.).

 
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